pietre

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Pietre di Fuoco - noir napoletano di Giacomo Ricci - Neftasia editore 2011

mercoledì 8 giugno 2011

Ricette gustose tra le pietre di fuoco

di Raffaele Ruggiero


Il 18 maggio 2011 c’ero anch’io alla presentazione di Pietre di Fuoco. Non ero informato adeguatamente, ma il titolo, l’autore e la mia naturale tendenza alla semplificazione non mi lasciavano dubbi: «si tratterà di un saggio sull’architettura, speriamo che mi faccia riconciliare con quella contemporanea, che per me è solo munnezza!».
Di proposito ho ignorato il libro già disponibile sull’espositore, mi sono accomodato e ho ascoltato. No, non era un saggio, ma un giallo ambientato nel centro antico di Napoli, con qualche puntatina verso i Quartieri spagnoli. Mi sono divertito moltissimo, ma in fondo me l’aspettavo, perché ho sempre pensato che Giacomo Ricci fosse un raffinato e ironico divulgatore della cultura “rotonda” e, nella circostanza, i suoi complici non sono stati da meno, proponendo con salottiera disinvoltura seducenti frammenti della storia e una nitida radiografia dell’autore. Non entro nel merito, perché tutto quel pomeriggio è raccontato in questo blog. Peccato per coloro che non c’erano, perché guardare un film non equivale a leggerne la sceneggiatura. A meno che del film non sia proprio Giacomo Ricci a parlare.
Per spiegarmi meglio, “devo divagare” e proporre un “intermezzo per il gentile lettore”.
Una mattina, verso la metà degli anni Ottanta, mi trovavo con Giacomo in uno dei box dell’Istituto di Composizione della facoltà di Architettura. Quel giorno i ricercatori si astenevano dallo svolgimento dell’attività didattica e, per solidarietà, mi astenevo anch’io, che ero un semplice cultore della materia e non sono mai diventato qualcosa di più. Giacomo aprì il giornale ed esclamò: «è morto Tarkovskij!». Io replicai, dall’alto della mia crassa ignoranza: «e chi è?». Così, soffocando generosamente la sua indignazione, mi spiegò chi fosse Tarkovskij e mi “fece vedere” il film Andrej Rublev, semplicemente raccontandolo. Ne conservo un ricordo molto più nitido di tanti film che ho visto realmente.
Scusandomi per il siparietto, ritorno a Pietre di Fuoco. Naturalmente ho letto il libro, che già nel sottotitolo, Saggio sul centro antico di Napoli, è fuorviante. Intendiamoci, non voglio dire che il sottotitolo sia bugiardo, ma soltanto che c’è un trucco. È un giallo, ma è scritto con la tecnica e i riferimenti tipici del saggio. Non è sul centro antico di Napoli, ma vi è ambientato. La storia è intrigante da seguire, con un finale sorprendente ma, in verità, assai poco intuibile. Al lettore che abbia per lo scenario ambientale e per il mondo accademico la stessa familiarità dell’autore bastano pochi cenni e qualche allusione sfumata per dischiudere un’infinita varietà di suggestioni che permettono di aggiungere al racconto “aperto” altre immagini, altri episodi, altri ricordi della mamma, della nonna, di Eduardo, di Totò e delle tradizioni popolari. I ringraziamenti finali, sui quali si è molto spettegolato, mi hanno ricordato lo sfizio che si tolse Michelangelo immortalando Pietro Aretino come San Bartolomeo e se stesso come una pelle umana, svuotata di carne e ossa.
La lettura ha appagato il mio particolare piacere di conversare con i libri, ai quali faccio domande, dai quali esigo risposte e varietà di argomenti, che preferisco chiamare “sapori”. Quei sapori che qui sono contaminati e amalgamati senza perdere la loro originaria connotazione. Chi conosce Giacomo Ricci sa bene che questo è il suo modo di essere, di operare, di comunicare, di insegnare. Io non lo conosco abbastanza da sapere dei suoi gusti gastronomici, né delle sue abilità di chef..
Però, mi piacerebbe che scrivesse un libro di ricette!

1 commento:

  1. Non sono un grande chef, spaghetto col pomodorino, qualche minestra, tante cazziate da mia moglie. No, non vado oltre. Però l'idea del libro di ricette mi sembra gagliarda. Ci penserò

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