pietre

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Pietre di Fuoco - noir napoletano di Giacomo Ricci - Neftasia editore 2011

sabato 4 giugno 2011

Elementi della storia. GiovanBattista Lusieri Vista di Napoli

GiovanBattista Lusieri, Veduta di Napoli dalla casa degli Hamilton

di Giacomo Ricci

GiovanBattista Lusieri fu straordinario interprete di Napoli e della sua bellezza. L'acquerello sopra raffigurato è uno dei più belli che abbia prodotto. Su quest'immagine il protagonista di Pietre di Fuoco, il proessor Giuliano De Luca tiene una singolare lezione ai suoi allievi nel chiostro di Santa Chiara.  Il senso della sua lezione è quello di rintracciare Napoli come paradiso perduto, immagine svanita, luogo della memoria. Vale la pena leggere direttamente il brano del libro.

"Giuliano aveva aperto la lezione mostrando il bellissimo acquerello di Giovan Battista Lusieri che raffigurava la veduta di Napoli da casa di Sir William Hamilton. Lusieri aveva esegui­to quell’acquerello nel 1791 e Giuliano si sta­va soffermando sulle particolarità dell’opera del pittore italiano non solo nel suo significato artistico, per così dire, ma anche nell’essere documento iconografico che fungeva da sup­porto al Gran Tour, degli intellettuali europei alla scoperta del Sud d’Italia.
La precisione della rappresentazione era straordinaria perché Don Titta, così era chia­mato Lusieri dagli amici più intimi, in compa­gnia di altri pittori, si dedicava con particolare attenzione al disegno dal vero secondo le esi­genze della moda e le richieste della commit­tenza. Spesso Don Titta era a casa degli Hamil­ton e lì tracciava rapidi schizzi acquerellati dei frequentatori del salotto, perlopiù inglesi, che avrebbe poi inserito come figure, macchiette nei suoi disegni definitivi. 
Il suo metodo, però, era sì realistico e in gra­do di restituire un’immagine veritiera, dettagliat­a, affidabile e documentaria del mondo reale, tanto da fare da supporto ai diari di viaggio e agli studi letterari che servivano da guida ai nordici alla scoperta dell’Italia, ma, secondo Giuliano, la sua era molto più che una descri­zione empirica dell’ambiente.
In quei colori, in quella luce diffusa e iperrea­lista che si spandeva sugli oggetti, e faceva vi­brare gli edifici, si leggeva un’ansia irreale tut­ta moder­na, assolutamente estranea allo spi­rito sette­centesco, confinante con l’aura rare­fatta della più pura metafisica, una sorta d’in­cosciente anticipazione dell’inquietudine metropolitana più recente che, per contrasto, andava al fon­do delle cose e del loro significa­to. Che sti­molava la nostra immaginazione e ci forniva, di quella Napoli idealizzata, una visio­ne asso­lutamente e irrimediabilmente arche­tipica. 
La lunga lingua di terra di Posillipo che, sulla destra si allontanava verso l’orizzonte, i rifles­si delle case distribuite lungo la riviera che erano restituiti dallo specchio del mare come tremuli mormorii di luce, la villa reale da poco impiantata dai Borbone, la grande corte che racchiudeva il verde intenso di un giardino oggi impensabile, proprio di fronte al mare, la collina di Monte Echia e i lunghi pergolati di glicine e uva che oggi sopravvivono, e chissà per quanto poco ancora, solo in alcuni punti nella costiera amalfitana, tutto l’insieme, in­somma, concorreva a fissare una sorta di nodo irrinunciabile della memoria, un grumo di significato.
L’uditorio era come rapito dal ragionamento di Giuliano che portava quei ragazzi a rivivere emotivamente un’ epoca lontana e stati d’ani­mo profondamente radicati in qualche parte della loro memoria involontaria e incosciente. De Luca impersonava, con le sue parole ap­passionate, ai loro occhi, uno dei tanti viaggia­tori del sud, uno strano e improbabile Goethe moderno che aveva fatto un viaggio all’indie­tro nel tempo e, di questa sua irreale espe­rienza, offriva un report avvincente e veritie­ro."


GiovanBattista Lusieri, Napoli vista da Posillipo
(acquerello ora smembrato in due parti, quella sinistra è a Londra, quella destra è a New York)


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