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Pietre di Fuoco - noir napoletano di Giacomo Ricci - Neftasia editore 2011

martedì 24 maggio 2011

Pietre di fuoco tra Questi fantasmi e le storie di Napoli antica

di Giulio Baffi

Nella presentazione di Pietre di Fuoco al Blu di Prussia avvenuta il 18 maggio scorso Giulio Baffi ha detto:

"Grazie a Imma che è stata molto generosa nel presentarci, grazie a Giacomo e grazie a voi che siete presenti.
Da quello che Imma Pempinello ha detto si è capito che io qui sono fuori posto. Chissà perché ci sono. Perché sono qui a presentare un libro di Giacomo Ricci. Chi mi conosce di più sa che sono qui perché Giacomo Ricci fa parte della mia vita. E, in qualche modo, io faccio parte della sua. Ed eccomi a presentare questo romanzo giallo  “saggio sul Centro Antico di Napoli”.
A me piace pensarlo come percorso. Naturalmente ho detto sì a Giacomo, per antico affetto sicuramente, ma perché Giacomo mi ha coinvolto in questa sua scrittura facendomi leggere molto presto, prima di altri e prima anche degli editori, questo suo scritto. Così come mi ha coinvolto altre volte in tutte le cose che pensava e faceva, non si sta mai fermo un momento, non lo ha mai fatto negli ultimi quarant’anni di vita che ci vedono in qualche modo  intersecati. Molte prime cose ho visto del suo lavoro.
Chi mi conosce sa che mi occupo di teatro. Uno dei miei problemi quando devo parlare di uno spettacolo  che ho visto è non devo mai raccontare – è una regola cui tengo molto – che cosa sono andato a vedere e che cosa gli eventuali spettatori  debbono andare a vedere. Cioè non si raccontano le storie. Bisogna vederle.  Allora il compito è quello di fare venire la curiosità  a chi non ha visto o non ha letto ancora. Allora mi chiedo se è possibile fare venire la curiosità  a chi non ha letto  perché penso che molti di quelli che vengono  alla presentazione di un libro non hanno ancora letto il testo. Perché se l’avessero letto forse non ci verrebbero. Già sarebbero soddisfatti  o insoddisfatti e quindi, manco uccisi, si muovono da casa.
Come parlare di un libro senza parlarne? Come costruire un percorso al suo interno? Nel caso di Pietre di Fuoco, per quanto mi riguarda, l’imperativo diventa categorico perché si tratta di un giallo e, per chi è appassionato del genere,  guai a parlarne. 
A me, al contrario,  piace sapere subito  come va a finire  una storia . Se è un giallo mi vado a vedere la fine. Così,  ah!, mi metto l’anima in pace e poi me lo posso leggere con calma, godendomelo. Ma mi rendo conto di essere una abominevole anomalia. 
Quindi della storia di questo libro, di quello che accade non se ne può parlare. Sappiamo  che comincia – e questo lo si può dire -  con un  cadavere trovato  senza testa ed è l’unica cosa che possiamo dire perché è una notizia riportata sulla quarta di copertina. Siamo autorizzati  a svelare l’inizio. 
Il cadavere è in un posto famoso.  Circostanza, questa,  che mi ha incuriosito all’inizio, perché appartiene al percorso che il libro ci conduce  a fare nel Centro Antico di Napoli. Il luogo del quale stiamo parlando  è la Cappella Sansevero. Chiunque sia andato una volta in visita in questo posto è stato preso dall’immaginazione, rapito in storie, allusioni, fantasticherie, vagheggiamenti, appassionanti rapimenti di fantasia. Sfido chiunque a dire, no, non è vero, ho messo piede nella cappella e non mi è interessato più di tanto. Il fascino della cappella è tanto grade che suggerisce fantasticherie quasi immediatamente.
Giacomo ha costruita la storia di questo romanzo pensando alla Cappella. Ma non è solo questo che entra a far parte del percorso da lui suggerito. Non è questo che mi ha in qualche modo colpito. E’ che intorno a questa storia che parte da un cadavere senza testa si diramano percorsi con sforature folli,  dense di informazioni  incredibili. Le informazioni di cui il testo è diffusamente pieno costituiscono una realtà molto interessante. 
Per esempio chi di voi ha mai sentito parlare di “giacchettella a mungelluzzo”?
Chi  ne ha mai sentito parlare? Che vuol dire “quello ha una giacchetta a mungelluzzo”? Io, in 66 anni e qualcosina in più, non ne avevo sentito parlare mai. Vivo a Napoli ma non ne avevo notizia.  Ecco, in questo libro, tra le altre cose, c’è scritto che cos’è una “giacchetta a mongelluzzo”. Non ve lo dico naturalmente. Andatevelo a leggere.  Questo per dire che il percorso fantastico si alimenta di percorsi altri, di derive, più o meno fantastiche e fantasiose.
Giacchetta a mongelluzzo è qualcosa che ha a che fare, stratificato negli anni e che, ripeto, io non sapevo,  con il mondo dello spettacolo. Per questo la mia sorpresa. Vi parlo di questo e non di altre cose che pure sono disseminate lungo il cammino e inciampano nei passi dei personaggi che Giacomo a messo assieme in questa storia.  
E allora questo gioco di scrittura ricco  di informazioni che parte in maniera beffarda, mi permetto di dire, da presenze universitarie che Giacomo dice essere casuali e con nessuna attinenza al mondo reale , ma chiaramente invece  né casuali, né fantastiche si intersecano con tutta una serie  di realtà, di fatti, di nomi, di cose che ci sono familiari, di pubblicazioni. Troviamo, ad esempio, le tracce della Storia della canzone di Napoli di Sebastiano Di Massa, troviamo  tracce delle Strade di Napoli di Gino Doria, che è un piacere ritrovare  tutte insieme. Troviamo la presenza di un quotidiano come “Il Mattino”, la presenza di una libreria come Colonnese a San Pietro a Maiella. 
Allora , leggendo questo libro, ognuno può costruire  il suo percorso visionario. Perché poi tutto sta lì, trasformare  tutto subito in uno spettacolo,  in una rappresentazione. E quindi che rappresentazione ci dà  questo passeggiare  per il Centro Antico dove a Port’Alba si incontra qualcuno, nel Chiostro di Santa Chiara  un professore fa la sua lezione citando  altre verità lontane nel tempo, altri pezzi di storia, trovare il Largo Baracche, prima, durante e dopo, quando e come era il largo Baracche. Incrociare tutte queste verità continue, costanti, questi pezzi di architettura, incrociando queste realtà con storie di spiriti, di fantasmi, fuienti, anime, emozioni, di processioni.
Io ho trovato questo libro in verità anche molto divertente. Naturalmente mi sono esaltato quando il teatro prendeva la mano, conquistava spazio, dilatava la sua presenza  nel racconto che si andava a poco alla volta costruendo intorno a un corpo trovato senza testa nella cappella Sansevero.  Intorno alle storie fantastiche  che in questo centro storico  hanno alimentato da sempre  la fantasia popolare , altri pezzi di teatro,  come la storia degli amori  e della violenza  di Gesualdo da Venosa. E quando poi intorno a questa storia  ritrovo un’altra  storia che mi è molto cara , che è la storia di Questi fantasmi come possibilità di intreccio tra un passato remotissimo  e un passato  che naturalmente è quasi un presente, per me il divertimento è grande e il piacere del lettore si appaga. Io sono contento e ringrazio Giacomo per avermi invitato a dire queste cose semplici ma vere. Grazie." 

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