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Pietre di Fuoco - noir napoletano di Giacomo Ricci - Neftasia editore 2011

mercoledì 25 maggio 2011

Alcune domande: riusciremo a rispondere?

Alcuni materiali del background di Pietre di Fuoco:


 di Giacomo Ricci

1.  Perché “pietre di fuoco”. Sono le pietre dei monumenti del Centro Antico di Napoli in un duplice significato: letterale, pietre di fuoco,  perché generate dal vulcano, pietre magmatiche (graniti, basalti, piperni) o piroclastiche (il tufo giallo napoletano, pomici, lapilli); metaforico-simbolico perché i monumenti napoletani sono segnati da una storia tormentata e tragica, di dominazioni di secoli, violenze, sopraffazioni, tumulti popolari, fuoco come rivolta, sovversione, repressione, sangue sparso.
2.     Lo scopo di dare luogo ad una fase neoeducativa, per così dire, sul Centro Antico di Napoli e il suo valore, oltre che la sua straordinaria bellezza. Dopo la straordinaria lezione di Pane e il suo essersi ridotta a mero strumento di repressione di un neo-immobilismo-proibizionismo assolutamente asfissiante e da giannizzeri-pizzardoni,  ci si rende conto che, oggi nel paradosso-dualismo Bellezza-Munnezza ci deve pur essere, da parte degli intellettuali partenopei, una decisa presa di posizione culturale, nuova, originale, capace di inglobare anche lo scontento popolare e la sua "anima", per così dire. Sembra, al contrario, che il grande assente, nelle contraddizioni che la città è costretta a vivere,  sia proprio la cultura che tace, anch’essa seppellita dalle montagne di munnezza o squallidamente arroccata nei propri orticelli di dominio (accademico e non).
3.     La colpevole ignoranza dei massmedia che, al di là del folclore, del trito e ritrito piedigrottismo napoletano, non sembrano spingersi. Napule e canzonette. Piedigrotta e putipu'. Tutta qui l'anima napoletana. Qualcuno ha detto che ci dev’essere, da qualche parte, un vero e proprio progetto di annichilimento della coscienza giovanile. Perché una massa considerevole di persone colte fa paura a qualsiasi regime, a qualsiasi forma di potere. Allora dagli con l’ignoranza. E dagli con l'abbandonarla nelle mani della camorra, come bassa manovalanza.
4.     La dolosa volontà di appiattimento di ogni forma di dissenso e originalità interpretativa dell'esistente,  nel generale amalgama culturaltelevisivo che appare, quindi, come  atto deliberato, programmato.
5.     Lo sperpero sciagurato del nostro patrimonio culturale urbano.
6.     L’assoluta colpevolezza di istituzioni come l’Università. E mi rivolgo, in particolare, alla "Federico II", alla sua dirigenza, ai quadri, per così dire, che appaiono sempre più assolutamente inadatti al compito gravoso che sta loro di fronte.
7.     La domanda legittima: esiste per caso un piano di affossamento dell’Università pubblica accessibile da tutti?

Pietre di fuoco è, insomma, un esperimento letterario teso ad attrarre e a fcalizzare l’interesse del lettore su alcuni temi urbani. Si tratta di un vecchio discorso educativo mai del tutto tramontato. La letteratura di genere come possibilità di “piccoli capolavori” della cultura popolare. Un dialogo immediato e profondo. Vi ricordate di Toto', del suo successo popolare e della sua sfortuna critica?
Gli ingredienti di una operazione simile potrebbero essere:
a)    il dialetto come lingua e sostrato antropologico di significati profondi e stratificati nel tempo.
b)   le invarianti antropologiche e la loro sostanziale inalterabilità nel tempo, quasi si trattasse di veri e propri parametri metastorici.
c)    Gli ambienti esterni, come prolungamento del corpo dell’abitante della città.
d)   La città analoga, di cui parla Aldo Rossi come luogo dell’elaborazione intellettuale  sul significato della storia della civiltà. L’anima della città da Cattaneo a Rossi.
e)    I monumenti come poli di accumulazione di significati: i luoghi della cultura alta, i luoghi della cultura popolare.
f)     I fantasmi nella tradizione antropologica e narrativa di Napoli e nella letteratura critica: il principe Sansevero, Maria d’Avalos, o' munaciello secondo Benedetto Croce, Matilde Serao e Salvatore Di Giacomo.
g)    Il teatro napoletano tra tragedia e farsa: il luogo del dramma degli interni. La tragedia dei nobili e la farsa, la comicità scurrile del popolo. Il dramma piccolo borghese.
h)   I gesucristi e le madonne, parafrasi dei povericristi del popolo e delle loro ricorrenti, cicliche tragedie. La rassegnazione e la rivolta.

Farò circolare questa specie di questionario chiedendo risposte.  Vediamo che succede. Se magari qualcuno ci propone riflessioni convincenti e strade da seguire. 

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